“Col teatro non si scherza, in quanto
lo scherzo è adulto e il gioco è infantile”
- Carmelo Bene
Il mio primo incontro col teatro è
avvenuto quando avevo circa diciannove anni. Ricordo ancora l'Out Off
dell'epoca. Piccolino. Sotterraneo. Un buco scavato sotto terra. Lì
ho visto Adriana Innocenti recitare la bellissima Erodiade di
Giovanni Testori. Adriana Innocenti, quando io ero post adolescente,
assomigliava tantissimo a mia mamma. Mia mamma è sempre stata una
donna d'acciaio. Anche quando ero piccolino e si guardava assieme un
film e c'era una scena d'amore, lei scherzava sempre per via di
quegli incroci di sguardi. Non le piacevano i sentimentalismi.
Non credo le piacessero nemmeno i
sentimenti. Non fraintendetemi, non è che mia madre fosse fredda
emotivamente. Anzi. Ma era fredda come donna, in quanto donna. Non mi
ricordo ad esempio di averle mai visto scambiare un bacio o un
abbraccio col mio papà. Tra l'altro io sono sempre stato un ragazzo
molto sensuale. Da piccolo, a sette o otto anni, chiedevo spesso ai
miei di raccontarmi come ero nato, perché sentivo strano dai loro
fantasiosi racconti che il sesso non c'entrasse nulla. Mi sentivo
quindi circondato da pezzi di legno, attenzione, non intendo persone
incapaci di godere, ma persone incapaci di darsi, o di perdersi.
Immaginate quindi la mia sorpresa nel
vedere il doppleganger di mia madre su un palco, io in terza fila,
quel tardo pomeriggio, che bestemmiava dio nella sua abbondante carne
per averle tolto Jokanaan, il Battista, al punto da trasformare il
palazzo del potere di Gerusalemme, per una notte, in un pozzo senza
fondo, buttando la figlia Salomé nelle braccia del secondo marito
per poter avere, del Battista salmodiante, la testa, e lanciare verso
il cielo quel suo grido disperato. Ho capito immediatamente il
significato della parola osceno, perché quelle passioni forti erano
incarnate da una figura che me ne ricordava un'altra, a me vicina,
che pareva di tutt'altra pasta ma che con essa si fondeva quasi in
un'unica carne, nella mia fantasia.
Ho capito immediatamente il significato
della parola incesto, perché vidi quello che nessun figlio ha quasi
mai il privilegio di vedere, la donna che gli ha donato la vita
smembrata da una passione lacerante che la porta a investire il
mondo, la propria individualità e anche la dimensione trascendente
con un urlo sordo, un misto di disperazione e preghiera. Ho capito
immediatamente il significato della parola catarsi, perché
improvvisamente sotto ai miei occhi il velo della quotidianità si è
frantumato lasciandomi intravedere una realtà più profonda e reale
sotto le vesti composte della banalità del quotidiano. Per quello
anni dopo, ad esempio, vedendo una mostra di quadri di Francis Bacon,
me ne innamorai alla follia. Alla follia. Sopratutto dei suoi
ritratti, quei volti attraversati da sensazioni.
Avevo circa vent'anni e stavo iniziando
a esplorare l'ombra. Anzi, è stata lei a esplorare me, privilegio
dato a pochi. Ho letto tutto di Giovanni Testori. Giravo per le
librerie alla ricerca dei suoi testi teatrali, già un po' rari, ma
se insistevi. Ero un carbonaro felice. Avevo trovato l'altra metà
della luna. Quella del Caligola di Camus. Avevo un segreto da
custodire. Che i miei amici, quelli con cui andavo a fare le gare di
mountain bike o con cui andavo a vedere l'alba a 1385 metri di
altezza non potevano capire, visto che già non comprendevano il
senso di quelle chitarre elettriche che uscivano dalle mie cuffie,
figurarsi se avessero potuto capire il senso del dionisiaco come lo
intendeva Nietzsche.
Ricordo ancora quando un anno dopo
lessi Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Quelle frasi caustiche sugli
uomini di Stato, quello che lui chiamava nelle interviste 'lo Stato
fascista italiano'. Frasi come: 'il potere vale bene un paio di
coglioni', a proposito di un uomo politico che dopo aver scoperto la
propria omosessualità fissa un appuntamento in una clinica per farsi
castrare. E' lì che, percependo il senso profondo di quello che
diceva Pasolini, sono diventato nemico del potere, il che spesso ha
significato nemico degli uomini. Degli individui di sesso maschile.
Non sempre, ma non ho mai trovato in un uomo la stessa capacità di
andare a fondo di certe donne che ho conosciuto.
Giovanni, un mio amico più grande di
me di vent'anni, una volta mi ha detto: 'ma io mi sono già perso per
una donna. Ho già dato. Non posso più fare certe esperienze come
quando avevo vent'anni'. Come se fare esperienze significasse avere
in un angolo dello studio un album con le fotografie delle esperienze
estreme. Oppure, quando gli ho detto di approfondire la sua
omosessualità perché sta portando, proprio in questi giorni, un
testo di Jean Genet sul palcoscenico: 'ma tu attraversi
l'omosessualità intellettualmente, a me con gli uomini non mi tira,
c'è un punto di non identificazione'. Paraculo il tipo, non trovate?
Scherzo, gli voglio bene, anche se ha un po' troppi limiti per me
questa sua posizione. Io quando ho letto Querelle mi sono sentito
omosessuale, ho capito in me come si gode con un uomo, e come si può
vedere la realtà da quella posizione. Così, senza scandalo e senza
lode. Secco.
Non vi sembri strano che io abbia
coltivato in questo modo la cultura. Per dirvene una, tanti tanti
anni fa ho iniziato a studiare inglese con una mia ragazza, di cui vi
ho già raccontato. Lei parlava quattro lingue, e aveva deciso di
insegnarmi quella d'albione facendomi leggere i capitoli del Piccolo
Principe di Saint Exupery tradotti in quella lingua. Quindi, mentre
la maggior parte degli italiani è analfabeta o intellettuale, mai
visceralmente innamorati della cultura, io mi sono sempre trovato in
mezzo a questo mix di libri, testi teatrali, quadri, musica, e amore,
o per lo meno persone. Dietro ogni libro, dietro ogni copertina di un
disco che ho in casa, c'è una faccia. E viceversa.
Separare queste due dimensioni mi
farebbe pensare a un non vivere. L'uomo è così poco, e desidera
così tanto. Inventa le religioni per paura della morte e i campi di
sterminio per farci morire altri uomini al posto suo, illudendosi che
a lui non toccherà. Sempre come dice il mio amico Giovanni, che lo
riconosce, l'arte ci restituisce la nostra doppiezza, il nostro fare
ombra, come a me ha restituito mia madre trasfigurandola e anni dopo
ha permesso a una mia compagna di insegnarmi qualcosa che le
apparteneva fino a che non è diventato mio. Ho letto tutte le opere
di Sarah Kane in inglese, oltre ad aver vissuto a Londra per sei
mesi.
Quando ho conosciuto Annalisa, lei mi
ha chiesto di andare a vederla a teatro per farle delle fotografie.
Io le ho chiesto di mandarmi il testo del suo spettacolo, che tra
l'altro lei si è scritto da sola. Ho fatto la conoscenza del suo
doppio Daurine, questa ragazza con la madre prostituta che quasi è
morta sotto i suoi occhi di violenze maschili, e che per questo ha
sviluppato nei confronti degli uomini sentimenti molto particolari.
Quelli che ho fissato con la mia macchina fotografica, come vedete
dalle due foto di lei che corredano questo articolo. Ho fotografato anche Giovanni
nel suo primo spettacolo, in cui lui e altri amici che ho conosciuto
di persona hanno interpretato i sensi che costituiscono la fonte di
conoscenza dell'essere umano.
Con Annalisa ho rallentato i ritmi del
suo spettacolo, molto concitato in scena, servendomi di esposizioni
lente. Ho colto i suoi spasmi, il suo sdoppiarsi, i moti intimi del
suo cuore. Mi hanno preparato le mie frequentazioni teatrali, la mia
capacità di darmi in pasto. Annalisa è anche una mia amica, e con
lei mi capita spesso di dialogare in un modo che mi porta a sentire
le mie viscere, a arrivare all'essenza di me stesso. Mi ha detto che
sono uno dei pochi uomini a aver visto Daurine, invece che La Mala,
nel suo personaggio.
Quasi tutti gli uomini che hanno visto
il suo spettacolo hanno percepito la donna fatale e violenta, io
sarei uno dei pochi ad aver visto quella fragile, a quanto mi dice
lei. Per me la chiave è stata quella canzone in cui canta 'C'è un
punto che mi chiama / Sa di sangue ma mi ama'. Quel punto chiama
anche me. Con lo spettacolo messo in piedi da Giovanni è stato
diverso. Ho giocato con la mia lente manuale le sue prospettive. Coi
volti e i corpi. Mi è piaciuto il fatto che i sensi avessero una
loro memoria. Mi ha ricordato Proust.
“Pasolini conosceva - di più, ne era
specialista - un segreto che noi intravedemmo solo grazie al
femminismo: il segreto dei corpi. Che noi non abbiamo, ma siamo un
corpo. Che quando facciamo l'amore, mangiamo, giochiamo a pallone,
pensiamo pensieri e scriviamo poesie e articoli di giornale, è il
nostro corpo che lo fa. Pasolini riconosceva il proprio corpo, e
dunque quelli degli altri. Sapeva che esistono i popoli, le nazioni,
le classi, le generazioni, e una quantità di altri vasti ingredienti
della vicenda sociale, ma li guardava al dettaglio nel modo di
camminare e di pettinarsi, di urtarsi per gioco o di ghignare per
minaccia. Si sentiva in dovere di essere marxista, ma il suo era un
marxismo delle fisionomie, dei gesti, dei comportamenti e dei
dialetti.” (Adriano Sofri)
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