"La tua intera esistenza è una storia sessuale"
Osho
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Foto scattata il giugno 2013 |
Sto ascoltando Charlie Parker e
leggendo Ginsberg in questa estate che volge al tramonto – avrete
qualche sorpresa tra un po' su questo blog - mentre qualche mio amico
è in vacanza – Annalisa ha visto Auschwitz e mi ha raccontato le
sue impressioni – e sto ancora cercando un editore per il mio
progetto sulla transessualità. Mi è capitato di iniziare a
interrogarmi sulla prostituzione, vorrei fare delle fotografie in
questo ambito perché se ne parla poco e sopratutto si chiede troppo
poco alle dirette (o ai diretti) interessati di esprimere il loro
parere sull'argomento. Non sarà facile, perché le dirette (o
diretti) interessati hanno poca voglia di farsi immortalare, perché
la stampa spesso cerca lo scandalo e non si pone l'obiettivo di
informare, perché camminare per la strada alla ricerca di materiale
umano potrebbe significare per me incontrare il coltello di un
protettore o una ragazza che mi denuncia perché mi ritiene persona
sospetta, corpo estraneo, punto interrogativo da cui difendersi
perché sulla strada non è detto che ci sia il tempo per pensare –
magari come riflesso di qualche ordinanza comunale particolarmente
severa. Inconvenienti del mestiere che dovrò affrontare, come ha
fatto un mio collega portoghese che ha pubblicato un progetto
interessante, mentre per ora mi guardo intorno per capire bene che
ottica applicare per un mio eventuale lavoro futuro sull'argomento.
L'Italia è un Paese ancora troppo
benpensante, bigotto e troppo poco attento ai (propri) diritti per
informarsi e divulgare opinioni di un certo livello sull'argomento,
ma ci sono delle cose che si stanno muovendo. Mentre intervistavo e
fotografavo i miei nuovi amici e le mie nuove amiche trans –
abbiate pazienza per vedere i risultati – ho iniziato a frequentare
incontri e conferenze dedicati agli addetti, e ho iniziato a pormi un
po' di domande. Per non seguire pedissequamente il sentito dire, come
i tentativi di introdurre leggi neoregolamentariste sulla falsariga
di certe richieste leghiste, che stanno più dalla parte del battere
cassa che non del fornire diritti e certezze agli individui
coinvolti. Per capire cosa è questo desiderio e come viene messo in
gioco, mia vecchia domanda che ritorna un po' in tutti gli ambiti dei
miei lavori, anche quando sono per strada con la macchina fotografica
– a voi non sembrerà, o suonerà strano, ma è così - o sul
divano di casa con i miei taccuini e la mia matita, e i miei libri di
poesia – ve lo dicevo che tra un po' avrete delle sorprese.
Intanto c'è il dibattito sulla legge
Merlin. Il 18 giugno ho partecipato a un incontro organizzato dalla
Caritas Ambrosiana intitolato 'Tratta e prostituzione: la legge
Merlin ieri e oggi'. Da quanto hanno comunicato i relatori, una
assistente di ricerca presso il dipartimento di sociologia di una
università italiana, un docente di storia contemporanea presso
un'altra università italiana, e un docente di sociologia dei diritti
umani presso un'altra università italiana, c'è un netto
peggioramento delle condizioni di vita di chi si prostituisce, oggi.
C'è più povertà, più disagio psichico, più abuso di alcool e
droga, più dipendenza dal gioco. Chi si occupa di prostituzione in
Italia nel 2014 incontra anche tutto questo. E' cresciuta la domanda.
Un terzo degli italiani maschi usufruisce dei servizi delle o dei sex
workers. C'è una forte connessione tra la tratta e le richieste di
asilo, sopratutto per quanto riguarda la rotta Maghreb-Sicilia, ma le
modifiche alla legislazione attuale più recenti hanno portato a un
indebolimento della tutela legale in caso di denuncia di sfruttamento
della prostituzione. C'è inoltre una zona grigia piuttosto ampia che
sta a cavallo tra sfruttamento e volontarismo che non viene messa in
rilievo dagli interventi politici.
Per quanto riguarda le proposte di
revisione della legge Merlin, ho notato che gli operatori sociali
sono tutti molto a favore del mantenere la legge attuale. Ci sono dei
motivi. Vi spiegherò poi cosa ne penso io, anche se ho accennato al
modello neozelandese qualche post fa. Intanto, chi opera nel sociale,
avvocati compresi, è favorevole alla legge Merlin in virtù di
quello che c'era prima. Il Regolamento Cavour del 1860 intanto
prevedeva una schedatura perpetua delle prostitute, motivo di
emarginazione sociale, e una visita medica obbligatoria fatta spesso
con strumenti di dubbia sicurezza per le prostitute dal punto di
vista sanitario. Il tutto per mantenere efficiente la macchina
economica del bordello, che qui in Italia ha radici antiche di cui vi
riferirò. Secondo il regolamento Nicotra del 1891 le donne che
rifiutavano le visite mediche erano considerate infette d'ufficio.
Nessun controllo era previsto invece, contro ogni senso logico, per i
loro clienti. Il desiderio maschile era legittimato in pieno. La
mascolinità, secondo i vecchi precetti legislativi, aveva un doppio
statuto, che si basava sull'idea di un essere umano dal corpo impuro
e dall'anima pura. La prostituzione e il suo mercato avevano la
funzione di e traevano legittimità dall'esorcizzazione del desiderio
maschile. Il corpo della donna era sempre visto come pericoloso, con
un dibattito al riguardo dominato dalle tesi lombrosiane (cfr. il
testo di Cesare Lombroso “La donna delinquente, la prostituta e la
donna normale” del 1893), al punto che l'ossessione del contagio
della malattia si confonde con quella del contagio del vizio, proprio
perché legato a doppio filo al 'fantasma' (lo dico in senso
lacaniano) del desiderio maschile, di cui era cartina da tornasole.
Con le leggi volute dai governi della prima unità d'Italia, il corpo
della prostituta era di proprietà pubblica, e le prostitute vivevano
una vita a parte, erano ispezionabili da funzionari appositi se
queste le incontravano per la strada, ed erano escluse dalla vita
sociale. Per questo motivo chi lavora con associazioni che si
occupano di tratta e di prostituzione oggi non vede di buon occhio
l'abolizione della legge Merlin e il ritorno ai bordelli di Stato,
macchine da soldi disumane strutturate in modo da 'contenere'
fantasmi e credenze che, con un ritorno alla legalizzazione della
prostituzione, potrebbero ridiventare gli unici contenitori
all'interno dei quali inserire corpi e anime. Al di là della
preoccupazione per le casse dello Stato in tempo di crisi, non credo
neppure io che ci guadagneremmo.
Eppure. Eppure mi torna sempre strano
quando in un dibattito non si nominano i diretti interessanti o le
dirette interessate. Possibile che nessuno chieda alle prostitute che
cosa pensano di tutto questo dibattito? Possibile che siano sempre
elementi esterni, per quanto dotati di un loro interessante sapere, a
parlare al posto delle donne e dei loro corpi? Mi sono quindi messo a
cercare, e ho così scoperto che in varie parti del mondo esistono
associazioni o comitati composti da sex workers, che si occupano da
decenni dei diritti delle loro iscritte e dei loro iscritti (perché
non se ne parla ma esiste anche una prostituzione maschile: io un ex
escort nelle mie divagazioni fotografiche lo ho incontrato). Intanto,
nell'ormai lontano 1975 c'era stata la protesta di Lione, durante la
quale un gruppo di prostitute occupò la chiesa di Saint Nizer per
denunciare il trattamento discriminatorio e violento della polizia e
delle autorità pubbliche in genere. Poi qui da noi in Italia esiste,
dal 1982, il Comitato per i diritti civili delle prostitute, fondato
dalle ex lavoratrici di strada di Pordenone Pia Covre e Carla Corso,
che produsse un documento intitolato 'Le prostitute rivendicano il
diritto all'esistenza' e denunciano ancora oggi discriminazioni
istituzionali e pregiudizi subite dalle sex workers italiane. Qui da
noi una prostituta è facilmente screditabile se cerca di denunciare
sfruttamento, né ha difesa contrattuale contro i clienti perché il
contratto di prostituzione non è legittimo. E questa è solo la
punta dell'iceberg. Potete recuperare documenti prodotti dal Comitato
all'indirizzo internet www.lucciole.org,
cosa che vi consiglio caldamente di fare perché il materiale lì
riprodotto è molto interessante.
Un altro strumento da acquisire per
iniziare a intavolare un dibattito serio e intelligente
sull'argomento prostituzione è il libro di Giulia Garofalo Geymonat
“Vendere e comprare sesso”, pubblicato a marzo di quest'anno
dalla casa editrice Il Mulino. Voglio parlarvene perché mi ha
illuminato e aiutato a capire molte cose. Non vi sembri strano di
trovare la 'recensione' di un libro nel mio blog, che è uno
strumento che offro a chi voglia capire meglio il senso del mio
lavoro e del mio percorso umano, e dove quindi è naturale che
confluisca tutto ciò che entra a farne parte. Innanzitutto è
fondamentale capire che cosa è questo sesso che si vende o si
compra, e da questo punto di vista il libro della Geymonat è molto
chiaro: 'il cliente' delle centinaia di migliaia di sex workers
presenti in Italia, ad esempio, 'paga non solo, e non tanto, per il
sesso nel suo senso più ristretto, ma per prendere parte a una
performance più o meno sofisticata, condotta da una persona che sa
farlo sentire “vivo”, sia discutendo, ballando o cenando,
sorridendo o umiliandolo, ascoltandolo o toccandolo'. Eppure tutti e
tutte le sex workers sono passibili di uno stigma sociale, che nel
caso degli uomini è meno forte che nel caso delle donne (viviamo in
società che si sono sviluppate a partire da schemi patriarcali come
ci ha fatto capire più di un secolo fa Friederich Engels) e che
raddoppia quando chi vende sesso è uomo gay, donna lesbica o persona
trans.
Lo stigma, la doppia vita e il senso di
vergogna favoriscono abusi e discriminazioni sul luogo di lavoro,
negli ospedali, da parte della polizia, nei tribunali, da potenziali
clienti o da gente qualunque. Lo stigma dovrebbe farci ragionare su
come funzionano i nostri sistemi di valori nei confronti delle
categorie che avete appena visto snocciolati sotto i vostri occhi
nelle righe precedenti, e quindi la prostituzione è un fenomeno che
varrebbe la pena approfondire per capire meglio la società in cui
viviamo. L'insulto di 'puttana' funziona anche con le donne che non
vendono sesso, cosa che ci segnala che la prostituzione è
considerata una delle trasgressioni femminili per eccellenza e quanto
è legata ai rapporti di genere, in particolare ai rapporti di potere
tra donne e uomini. Chi detiene veramente il potere tra prostituta e
cliente? Le scienze sociali ci dimostrano che il modo in cui viviamo
i rapporti intimi non è separato dalle relazioni economiche e di
potere in cui siamo immersi. La prostituzione ci ricorda che esiste
una disuguaglianza materiale fra uomini e donne, e che le donne hanno
sviluppato una sessualità a vantaggio degli uomini, 'di servizio'.
Come ci spiega anche l'etnologa Paola Tabet nel suo “La grande
beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico”
(Rubbettino, 2005), la prostituzione è solo una delle forme di un
continuum di scambi sessuo-economici che svela molto, a volte troppo,
delle persone e del 'sistema'.
La prostituzione esiste perché
esistono le diseguaglianze strutturali tra gli uomini e le donne. In
Europa sempre più le persone 'etnicizzate' (socialmente inferiori su
pretesto di appartenenza etnica), migranti e LGBT hanno sviluppato,
come le donne, questa sessualità 'di servizio'. Quella su chi, tra
prostituta e cliente, detiene il potere, è una domanda che rimane
aperta. Sarebbe interessante trovare volta per volta delle risposte,
perché in questo modo capiremmo molte cose del mondo in cui viviamo.
Queste sono le premesse del libro della Geymonat, che inizia a
tracciare le coordinate del 'boom' del sesso a pagamento a partire
dal Medio Evo, quando con il boom delle città 'borghesi' poteri
politici, militari e Chiesa entrano a piene mani nel business
regolamentando corpi e anime, fino alle diverse forme di
regolamentazione della prostituzione presenti nel nostro mondo
contemporaneo. E' proprio nell'epoca della Divina Commedia che si
sperimentano veri e propri quartieri a luci rosse e bordelli
pubblici. Le sex workers da un lato sono controllate, represse e
isolate, dall'altro, contradditoriamente, se ne trae il maggior
guadagno possibile. Quartieri e bordelli si trovano non di rado su
territori di proprietà della Chiesa, cui le prostitute devono pagare
affitti e imposte. Il pensiero del teologo scolastico Tommaso
d'Aquino rappresenta al meglio questa doppiezza, parlando della
prostituzione come di un peccato che però serve ad evitare altri
peccati. Questa visione viene rinnovata con l'Ottocento, dopo un
periodo di proibizionismo dettato dalla paura del contagio da
malattie infettive. Per il regolamentarismo classico infatti, i
clienti sono normali cittadini che ricercano la soddisfazione di
naturali istinti sessuali, mentre le prostitute sono devianti e
pericolose portatrici di vizio.
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Foto scattata il giugno 2013 |
Quattro sono i modelli di
regolamentazione del lavoro sessuale presenti nel mondo
contemporaneo. La criminalizzazione, o linea proibizionista, è
quella di paesi come gli USA, Russia, Cina, Romania e Serbia. Qui
sono criminalizzate sia le prostitute che i clienti, mentre in paesi
come la Svezia, la Norvegia e l'Irlanda vengono puniti e perseguiti
solo i clienti ('neoproibizionismo'). La legalizzazione è un
fenomeno che vede coinvolti paesi come la Turchia, la Grecia, la
Germania, l'Olanda, la Svizzera e l'Australia. L'abolizione della
prostituzione, ovvero il divieto dello sfruttamento ma non della
prostituzione per sé, se adulta e consenziente, è la linea di paesi
come l'Italia, la Spagna, la Gran Bretagna, il Portogallo, il Belgio,
la Danimarca e almeno finora la Francia. Infine è almeno secondo me
il modello più interessante quello attuato dalla Nuova Zelanda, un
modello di decriminalizzazione dove non c'è nessuna legge speciale
per la prostituzione adulta e consenziente, e una sua quasi completa
equiparazione a qualsiasi altra attività economica.
All'equiparazione si aggiungono regole volte a minimizzare gli
eventuali danni legati a salute, sicurezza e vulnerabilità. Il
Prostitution Reform Act del 2003 ha fatto sì che in pochi anni i sex
workers si sentissero più a proprio agio nel dire di no ai propri
clienti e nel denunciarli in caso di abuso, con un potere
contrattuale sicuramente più alto che nei paesi neoregolamentaristi
dove la burocratizzazione della gestione dell'industria sessuale non
riesce a seguire gli sviluppi veloci e complessi di questo tipo di
settore. Un altro problema evidenziato nei Paesi regolamentaristi è
il fatto che chi lavora saltuariamente in questo tipo di industria
preferisce una situazione informale, e sopratutto che le sex workers
prive di cittadinanza europea sono obbligate a lavorare nel sommerso,
cosa che personalmente ritengo senza senso, dato che si sta parlando
di più della metà della forza lavoro. Chi in Germania, Olanda,
Austria e Svizzera ha un permesso di soggiorno, rischia di perderlo
se si mette a lavorare nell'industria del sesso. Pensate alla
ricattabilità di una donna straniera vittima di tratta. Il modello
neozelandese, con l'aggiunta di un permesso di soggiorno per chi
lavora anche come sex worker, potrebbe essere forse quello più
interessante in assoluto. Rendere permessa la prostituzione in ogni
luogo, al chiuso o in strada, per evitare di rendere i sex workers
più vulnerabili – se per strada la prostituzione è vietata non ho
tempo di scegliere al meglio i clienti – penso sia la soluzione,
alla luce di quanto stiamo discutendo qui, più intelligente.
Collaborare con le organizzazioni di sex workers per adottare
approcci più conformi ai loro diritti, anche.
Se qualcuno dei miei lettori pensa che
sia scandaloso mostrare carne in vendita lungo una strada illuminata
a giorno, lo invito caldamente a riflettere cosa c'è sull'altro
piatto della bilancia, ovvero il rischio di rendere i sex workers
meno sicuri. Qui in Italia ad esempio più sex workers non possono
lavorare assieme, ed isolarli in questo modo significa porli in un
regime di concorrenza 'esistenziale' dove, oltre a dover indossare
una maschera per proteggere i propri affari, diventa anche difficile
comunicare coi 'colleghi' anche solo per segnalare un cliente che
offre più soldi in caso di sesso senza protezione, figurarsi poi nei
casi in cui si possono configurare abusi. Molto meglio rischiare di
dover spiegare al proprio ignaro giovane figliolo non solo o non
tanto cosa è il sesso a pagamento, ma anche che nel 2014 esistono
comunque situazioni o zone grigie dove si possono consumare
ingiustizie e che il nostro ruolo di uomini e donne dal punto di
vista sociale è ancora influenzato da gerarchie e concezioni,
pregiudizi e pratiche dove il ruolo di certi condizionamenti si fa
ancora pesante. Penso che nessun adulto possa esimersi da un'opera di
educazione attiva o almeno di riflessione, da questo punto di vista,
anziché scandalizzarsi.
Qualche parola infine su Giulia
Garofalo Geymonat, autrice del saggio e che, dal 2012, lavora
all'Università di Lund (Svezia): nel corso della sua carriera ha
pubblicato saggi su temi quali sfruttamento, violenza e resistenza
organizzata nella sfera della sessualità e del sesso commerciale,
con particolare attenzione all'impatto delle politiche di genere,
della migrazione e della disabilità. I suoi lavori, dati anche i
suoi studi di economia (Bologna) e gender studies (Utrecht) sono
ispirati alle tradizioni femministe e ai queer studies. Attualmente
si occupa di servizi legati alla sessualità per persone disabili e
di metodi etnografici per comprendere i processi di
professionalizzazione relativi all'assistenza sessuale in Europa,
altro tema interessante dato che potrebbe sicuramente suscitare
dibattiti. Proprio qualche giorno fa ne parlavo con una amica di
Annalisa, che sta studiando per diventare educatrice, e che mi diceva
di essere contraria a questo tipo di assistenza in quanto i disabili,
secondo lei, hanno bisogno di affetto e di un diritto a vivere la
propria affettività, e non di un facilitatore in ambito sessuale;
alla mia provocazione sul fatto che ci sono persone che da quando
hanno scoperto questa professione hanno sentito un richiamo molto
forte verso questo tipo di lavoro mi ha suggerito che 'esistono
persone che hanno anche un forte richiamo al masochismo', dicendomi
inoltre che 'una donna che fa sesso dona un pezzo della sua anima, e
l'anima non si può vendere o contrattare'. Leggevo che Osho, quando
parla del sesso tantrico, afferma che nel sesso l'uomo e la donna
sperimentano la morte dell'io, non tanto il donarsi un'anima, ma
parlando con altre donne ho scoperto che esistono ancora uomini per
cui un'avventura sessuale significa potere, affermare la propria
capacità di conquista. Sarebbe interessante che il dibattito
rimanesse aperto, dunque, su cosa è veramente il sesso, cosa è
veramente il desiderio, e come questi temi si intrecciano con ciò
che siamo, anche per scoprire se il mondo in cui viviamo ci ha
influenzato insegnandoci falsità su noi stessi e su quello che
siamo. Partire proprio dalla sessualità potrebbe essere molto
interessante. Qualcuno ricorda i saggi di Michel Foucault sulle
'tecnologie del sé'?
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