"You can't leave 'cause your heart is there But, sure, you can't stay 'cause you been somewhere else"
-- Sly and the Family Stone
Ho conosciuto una persona incredibile
questo lunedì. Una persona come non ne fanno più, o molto poche. Ma
voglio coccolarmi per me stesso questo 'segreto', nutrirmene e vedere
cosa fiorisce da esso. Intanto è cambiato il mio modo di lavorare
sulle fotografie. Nei miei ultimi autoritratti e nel mio ultimo
progetto all'aperto, questo giovedì di dicembre, ho cercato meno
contrasti duri e più transizioni morbide. Non l'ho fatto in virtù
di un qualche ragionamento, ma d'istinto.
Sono stato a fare fotografie in zona
Bonola, una zona di Milano che frequentavo quando studiavo in
università più di dieci anni fa. In quel quartiere, a ridosso del
centro commerciale, c'è una biblioteca pubblica dove il sabato mi
trovavo a studiare con dei miei amici che vivevano in zona. A volte
mi fermavo anche a dormire da loro. Con qualcuno condividevo anche
gusti musicali, ci scambiavamo cassette, e uno di loro per un po' mi
aveva anche prestato una chitarra elettrica e un amplificatore.
Volevamo mettere in piedi un gruppo.
In quel periodo ero appassionato di
musica, andavo molto spesso a vedere concerti dal vivo coi miei amici
e cercavo musicisti che sapessero comunicare con la mia anima. Se
trovavo dei gruppi rock italiani che esprimevano un'anima pasoliniana
– e ce n'erano, a differenza di oggi – mi ci affezionavo. Io e il
mio amico avevamo fatto delle selezioni per un batterista e un
secondo chitarrista – il mio amico suonava il basso – e
affittavamo una sala prove dove elaborare idee, provare brani
inediti, chiacchierare.
Niente di quel periodo è decollato
veramente, il mio amico è andato a studiare scuola di cinema e io ho
iniziato un mio percorso che mi ha portato ad avere sfiducia
nell'università, ad abbandonarla, e a cercare soddisfazioni in
lavori più o meno temporanei che mi portassero dei soldi in tasca
per le mie esigenze quotidiane. Mi mancavano due esami e la tesi.
Avevo la media del 28/30. Ma avevo una grande sfiducia nei confronti
delle istituzioni, e volevo sperimentare 'la vita', al di fuori della
patina dorata dello studio. Anche perché mi sarei laureato in
storia, e il mio 'posto nel mondo' sarebbe stato l'insegnamento. Ci
pensai bene, e decisi che non era la mia strada, anche se avevo
iniziato proprio per quello a studiare. Ma a quel punto, preferivo
'l'avventura'.
Tre anni fa, quando presi in mano la
mia macchina fotografica, per qualche giorno, mentre andavo in giro a
scattare più o meno a caso, mi girava per la testa questa domanda:
'ma perché mi devo esprimere?'. Mi resi conto che questa domanda
sotto sotto aveva in qualche modo inficiato tutti i miei tentativi
post adolescenziali di essere creativo, con la musica, con la
scrittura; avevo un tarlo dentro: che la vita fosse nulla. C'è la
morte in fondo, no? E se la morte è la fine di tutto, perché
cercare qualcosa di più della mera sopravvivenza. Mi nutrivo di
creatività altrui, mi interessava l'intelligenza, la sensibilità,
ma vedevo l'ombra della fine incombere su tutto.
Cercai di avvicinarmici a quella fine,
perché volevo sapere fortemente se c'era qualcosa dopo. Mi sono
avvicinato a diverse situazioni e dimensioni del dolore, perché ero
stanco di vedere che la maggior parte della gente a me vicina le
evitava, evitava di approcciarle, di rapportarcisi, tagliando fuori
esseri umani dal consesso sociale e lasciandoli in balia di
situazioni di potere dove essi erano succubi. Sono domande che ancora
mi restano, cui vorrei trovare risposte personali, al di fuori di
qualsiasi ambito codificato del sapere umano. Per questo motivo mi
incantano certe personalità, perché trovo che abbiano una relazione
forte con sé stessi, con la vita, con la realtà, e che traccino
percorsi personali e non codificabili di vita.
Ora, cosa ho provato ieri pomeriggio ad
avvicinarmi così tanto a ricordi a me famigliari? Allora,
innanzitutto appena esci dalla metropolitana, ci sono un sacco di
graffiti. Uno, quello che vedete in una delle mie foto, recita:
'Ognuno merita il regime che sopporta'. Mi sono sentito a mio agio.
Inizialmente volevo stare lontano dal centro commerciale, e ho
iniziato a girargli intorno. C'erano strade molto ampie, con
palazzoni sparsi qua e là ma con molto verde in mezzo. Mi son detto
'Bene, che me ne faccio di tutto ciò?' e mi sono avvicinato a un bar
dove ho consumato un caffé, vedete nelle mie foto anche un signore
che leggeva il giornale seduto a un tavolino.
Mentre gironzolo, penso ai miei vecchi
amici, e mi domando se mi interessi per caso risentirli. Ma credo di
essere cambiato molto da allora, di essere una persona molto diversa.
Ho rivisto uno di loro un paio di anni fa, ci siamo ritrovati in una
sera a bere birra e a raccontarci un po' di cose. Lui è sposato
adesso, ci siamo trovati bene ma abbiamo fatto delle scelte molto
diverse. Io non ho bisogno di sentirmi a casa, di trovare una casa.
La ricerca dell'amore per me è un'alta cosa. Ovviamente ho provato
una punta di nostalgia, ma non ho grossi rimpianti per quello che ho
abbandonato.
Credo anzi che per ogni persona che sa
un certo tipo di scelte di vita, ci sia bisogno di almeno un'altra
persona che sperimenti cose nuove, diverse. Difficile dire cosa avrei
trovato, di 'diverso', nel centro commerciale quando ci sono entrato
perché l'esterno non mi attraeva, fotograficamente parlando. In
realtà lo sapevo, ma ho scelto di 'non giudicare'. Ci starebbe bene
una emoticon con la linguetta di fuori. Bonola non è un centro
commerciale rutilante, ipermoderno. E' un posto molto famigliare. Ho
sentito mentre camminavo una vecchietta che si lamentava con delle
amiche perché aveva rotto il telecomando e doveva comprarsene uno
nuovo.
Aveva l'espressione preoccupata, di chi
non può permettersi molte spese extra. Per tutto il centro
commerciale c'erano bancarelle in mezzo ai corridoi con prodotti
natalizi: candele a forma di fiore, statuine del presepe in legno,
sciarpe, gadgettini. Un'atmosfera innocua, anche se di solito di
fronte a tutte queste cose io mi domando quanto siano davvero
innocue. Credo che queste atmosfere WASP vadano a braccetto con frasi
come 'io voglio una vita tranquilla', cosa che mi ha sempre fatto
sorridere. Proprio quindici giorni fa ho assistito a performances di
persone che soffrono di disagio psichico recitare poesie e cantare e
suonare, con Dori Ghezzi che diceva che questo tipo di persone sanno
andare più a fondo di noi.
A me piace andare a fondo. E' bello. Ti
ritrovi a coltivare qualcosa, qualcosa che ha a che fare col cuore,
mentre il mondo di fuori passa ignaro di sé. Lo scriveva anche
Bulgakov, che il mondo è il teatro e viceversa. Nel mondo, nella
vita quotidiana, ci sono clichés di comportamento da rispettare, che
fanno passare la vita su binari consolidati, ma senza che accada
nulla. Rischi di diventare uno stereotipo. Bulgakov era convinto che
solo nel teatro era possibile vivere, raccogliere le tensioni del
mondo e poi giocare a farle scoppiare, che in fondo l'artificio è
più reale della vita vera, quella dove c'è crisi economica e speri
che non ti succeda niente di male, ma poi ti metti in pantofole
occupandoti se puoi di godere un pochetto – non tanto, se no
diventi vizioso! - di qualcosa.
Ma se devo trarre un senso da tutte le
cose che ho visto e fotografato, compreso un tenero orsacchiotto in
una vetrina, devo dire che beh, capisco perché Jack Kerouac abbia a
un certo punto preso un sacco a pelo e si sia messo a viaggiare da
solo di notte, per meditare su Buddha e sulla natura umana, lontano
da tutto questo mondo di brave persone senza tanto sale. A mio modo,
lo sto facendo anche io. Saranno le feste, saranno le amicizie, ma
non ho provato il senso di fastidio che di solito provo quando mi
trovo in mezzo alla tabula rasa mercificata, sono fortemente convinto
che ci sia un mondo dietro tutto ciò, un mondo più vero, ma lo
avete nascosto bene dietro questa patina. Eppure pulsa, attira
persone come me, e prima o poi leverà alta la sua voce per farsi
ascoltare.
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